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Il futuro della produttività del bovino: la gemellarità è una valida alternativa?



Il futuro della zootecnia passa anche dall'innovazione che possa portare beneficio tanto al mondo animale quanto a quello agro-pastorale. L'economia delle risorse e la loro massimizzazione in chiave sostenibile è sempre più presente nelle indagini condotte in vari ambiti del settore. Ecco quindi un nuovo studio condotto di recente da un Team di ricercatori che vuole mostrare i benefici che il parto gemellare nelle razze bovine può apportare al settore in termini di produttività e redditività. Vediamolo nel dettaglio.


È noto che la linea vacca-vitello rappresenti una valida opportunità di allevamento in aree collinari e di montagna altrimenti difficilmente sfruttabili, e questa caratteristica ne ha certamente influenzato l’ampia diffusione anche in Sardegna dove rappresenta, infatti, il sistema di allevamento prevalente per la produzione della carne. Allevamenti in purezza di razze bovine da carne quali Charolaise e Limousine caratterizzano in particolare il settore bovino da carne nel Nord dell’Isola, insieme ad allevamenti ad indirizzo produttivo misto nei quali è frequente trovare razze bovine autoctone a duplice attitudine, come la Bruno-Sarda e la Sardo-Modicana, che -per migliorare le caratteristiche di produzione della carne sono incrociate con tori prevalentemente di razza Limousine e Charolaise.


Nonostante insieme agli allevamenti da ingrasso la linea vacca-vitello rappresenti la base per la produzione del vitellone, categoria maggiormente rappresentativa nelle macellazioni, questa tipologia di allevamento mostra molto spesso performance produttive decisamente migliorabili. La bassa produttività del settore bovino da carne è, infatti, facilmente osservabile se si confronta l’output in termini di kg di carcassa macellati rispetto al peso vivo allevato di diverse specie da reddito allevate per la produzione della carne.


Si pensi ad esempio che, secondo i dati riportati da Pulina et al. (2021), l’output -espresso come kg di carcassa prodotta per kg di peso vivo mantenuto- assume valori di 1,765 nel suino (considerando un peso vivo medio di 70 kg); di 3,188 per gli avicoli (con un peso vivo medio di 1,72); contro lo 0,181 del bovino, se si assume un peso vivo medio per capo di 250 kg. Appare chiaro che, pur considerando la maggiore prolificità delle prime due specie citate, siamo ancora lontani dal raggiungimento di buone performance produttive e riproduttive nell’allevamento delle razze bovine da carne.


Alcuni obiettivi necessari per massimizzare il rendimento dell’allevamento sono l’ottenimento del maggior numero di vitelli svezzati per anno, aspetto legato alla prolificità e alla fecondità delle fattrici, ma anche al tasso di aborti e mortalità neonatale e perinatale, e la produzione di soggetti ben conformati, obiettivo fortemente legato alla gestione nutrizionale e alla selezione genetica.


Il caso studio

L’aumento della prolificità nel bovino da carne sembra essere, tuttavia, un obiettivo ancora lontano per molti allevatori in quanto alcuni problemi che possono insorgere dal parto gemellare in allevamento destano non poche preoccupazioni, difficili da eradicare, sia per la gestione della madre che dei vitelli nel post-partum. Il seguente lavoro, condotto dal Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari finalizzato ad una tesi di laurea magistrale, ha voluto condurre un’indagine in alcune aziende bovine della Sardegna per osservare l’indice di gemellarità di alcune razze da carne allevate e per valutare quale sia la propensione degli allevatori a voler incrementare la frequenza dei parti gemellari in allevamento, nell’ottica di una strategia valida per aumentare la redditività aziendale.


I risultati

L’indagine, condotta durante l’annata agraria ancora in corso, ha interessato 30 aziende della Gallura, regione storica della Sardegna nota e particolarmente vocata per l’allevamento dei bovini da carne, con l’acquisizione di una serie di informazioni che hanno evidenziato, in primo luogo, una prevalenza del sistema di allevamento estensivo che riflette le caratteristiche di buona parte della zootecnia isolana. La presenza di prati-pascoli permanenti ma anche di superfici arborate, che in alcuni periodi dell’anno sono sfruttate per il pascolamento della mandria, affiancano la coltivazione di erbai principalmente in asciutto che assicurano la produzione delle scorte foraggere.


L’estensione delle aziende si mostra altamente variabile, con una superficie che oscilla dai 25 agli oltre 400 ettari, così come la consistenza della mandria, che ha assunto un valore dai 9 a circa 200 capi totali fra vacche, manze, tori e vitelli/e. Le razze da carne allevate nelle aziende oggetto dell’indagine sono le razze Limousine e Charolaise, mentre un terzo gruppo genetico, costituente oltre il 50% degli effettivi rilevati, è rappresentato dagli incroci effettuati principalmente fra le vacche di razza Brun della Sardegna e tori Limousine.



Insieme a diversi indici di efficienza riproduttiva degli allevamenti, è stato rilevato il dato medio del numero dei parti gemellari avuto per vacca negli ultimi cinque anni, dal 2017 al 2021, considerando in media un parto per vacca all’anno come generalmente si riscontra nel sistema linea vacca-vitello. Dato che ha permesso di condurre una analisi statistica dell’indice di gemellarità riscontrato nelle tre razze. I risultati hanno mostrato l’indice di gemellarità più alto per la razza Charolaise pari al 2,67 %.


Sebbene numericamente inferiore, il dato è risultato in accordo con diversi lavori della letteratura in cui si osserva un indice di prolificità di 3,03% e 3,19 % per la Charolaise svizzera e la Charolaise francese rispettivamente; valore che mostra comunque una maggiore prolificità di questa razza rispetto a diverse razze da carne studiate (Johansson et al.,1974). L’indice di gemellarità per la razza Limousine è stato invece pari all’ 1,47 %, seguito da quello degli incroci che hanno mostrato una prolificità più bassa pari all’1,05 %. I numeri osservati per le tre razze sono risultati in accordo con quelli rilevati in allevamenti dove non è stata fatta una selezione genetica su questo carattere.


L’indagine ha avuto, inoltre, l’obiettivo di intervistare gli allevatori per capire quale sia la disponibilità a voler incrementare i parti gemellari in allevamento. Sebbene i risultati riscontrati nella realtà produttiva non si discostino da quelli attesi, ciò che più colpisce è la bassa propensione degli allevatori a voler incrementare la frequenza dei parti gemellari, atteggiamento che non sembra essere cambiato nel tempo. Il parto gemellare nelle realtà zootecniche gode purtroppo da sempre di una cattiva considerazione, e questo lo si è osservato non solo nel comparto bovino, ma anche in quello ovino; seppur, forse, in quest’ultimo allevamento si sono fatti progressi almeno nel considerare l’aumento della prolificità come un fattore positivo che si traduce in un miglior reddito aziendale, grazie al maggior numero di animali svezzati e ad un incremento del peso vivo macellato.


Questa considerazione stenta invece a emergere nell’allevamento bovino, dove sorgono notevoli preoccupazioni sulla gestione dei vitelli nati da parto gemellare, quali il minor peso alla nascita rispetto al vitello nato da parto singolo e il minore accrescimento ponderale; la maggiore probabilità di insorgenza di distocie al parto; la minore produzione di latte da parte della madre e un conseguente maggiore impegno richiesto per seguire sia la madre che la prole sotto l’aspetto nutritivo e sanitario nel post-partum.


A questi problemi si aggiunge la probabilità di verificarsi, in caso di gemellarità, del fenomeno del “freemartinismo”, che comporta la nascita di vitelle sterili e quindi non utilizzabili per la rimonta. Aspetto non di secondaria importanza che è messo in luce dagli allevatori in particolare nella tipologia di allevamento estensivo come quella oggetto dell’indagine, è la presenza di pascoli arborati, luoghi impervi costantemente accessibili alla mandria, che aumentano la probabilità di insuccesso del parto quando la madre trova in questi un posto idoneo al parto e a garantire la sicurezza per la sua prole; probabilità che cresce se si considera che i parti delle primipare soprattutto -ma anche delle pluripare- tendono a concentrarsi nelle ore serali e notturne. Il che, evidentemente, può comportare un mancato controllo del parto e di un tempestivo intervento quando questo si rende necessario (Paolucci et al, 2009). Fra i problemi riscontrati dagli allevatori nel corso dell’indagine, vi è, infatti, anche la tendenza della madre a nascondere il vitello/i.



Nonostante i problemi che può comportare, il parto gemellare se correttamente gestito è una valida strategia per incrementare il reddito aziendale e questo studio ha voluto mettere in luce i vantaggi che possono conseguirne grazie allo studio di diversi lavori presenti in letteratura. Aumentare il numero di vitelli svezzati per anno porta, in primo luogo, ad una maggiore efficienza riproduttiva dell’allevamento e consente di ottenere un maggiore peso vivo macellato; inoltre, è stato osservato che una vacca con parti gemellari è capace di sostenere circa il 50% in più di peso totale svezzato rispetto a quella che origina un parto singolo.


Una bassa unità di output per unità di peso vivo destinato alla riproduzione e i costi legati al mantenimento della fattrice, che si osserva rappresentano fino al 50% dei costi totali dell’allevamento, sono tra i fattori che più incidono sulla redditività del sistema linea vacca-vitello. Aumentare la prolificità delle fattrici consentirebbe di ridurre l’incidenza dei costi con una riduzione economica più efficiente piuttosto che basandosi sull’incremento di peso del singolo vitello (Smeaton e Clayton, 1998).


Aumentare il numero di vitelli svezzati per vacca è un metodo vantaggioso anche per quanto concerne le emissioni enteriche che, nell’allevamento dei ruminanti, rappresentano la categoria di emissioni più rilevante per i gas serra derivanti dagli allevamenti zootecnici. Aspetto non di ultima importanza se consideriamo l’attenzione oggi crescente data al contributo delle attività zootecniche all’impatto ambientale (Pulina et al., 2021). Infatti, a parità di vitelli svezzati, si otterrebbero minori emissioni ruminali da parte delle fattrici.


Il presente studio dimostra come grandi sforzi debbono essere ancora fatti per migliorare la consapevolezza e l’approccio dell’allevatore verso il miglioramento di un parametro che, se gestito correttamente, rappresenta uno degli obiettivi per ottimizzare l’efficienza del sistema produttivo del bovino da carne. L’aumento della gemellarità può essere conseguito in questa tipologia di allevamento apportando diversi vantaggi che consentirebbero di migliorare l’efficienza riproduttiva e produttiva del sistema linea vacca-vitello, che sarebbe una opportunità non solo a livello della singola azienda, ma sarebbe un primo passo per valorizzare un sistema produttivo importante per l’economia isolana.


L’analisi condotta in questo lavoro vuole essere uno spunto per mettere in luce come, in contesti come quello analizzato, i progressi costantemente raggiunti nel campo scientifico abbiano un ruolo fondamentale per perseguire in azienda risultati auspicabilmente migliori.


 

L'articolo è stato redatto da:

Maria Francesca Caratzu, Mondina Lunesu, Andrea Rugiu, Giuseppe Pulina


A cura di:

Redazione ASPA


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